Le tecnologie digitali portano enormi benefici alla società, ma hanno anche costi elevati in termini di sorveglianza pervasiva.

Minacciano i diritti fondamentali delle persone, e rischiano di opprimere la loro libertà di espressione.

Questo è quanto si legge nell’ultimo rapporto sulla privacy nell’era digitale dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Il report, dal titolo “Il diritto alla privacy nell’era digitale”, è stato presentato lo scorso 12 settembre in occasione della 51esima sessione di lavoro del Consiglio ONU per i diritti umani

In esso vengono portate alla luce problematiche globali indicate con i termini di: “sorveglianza”, “controllo” e “oppressione”.

È ormai risaputo, infatti, che la maggior parte dei dispositivi tecnologici di uso quotidiano monitorano attentamente le azioni degli utenti, e le utilizzano per creare profili di potenziali consumatori.

Da questa consapevolezza deriva la necessità di prendere provvedimenti sempre più seri e concreti per tutelare il diritto alla privacy di ognuno di noi.

Tre potenziali minacce derivanti dall’uso degli strumenti digitali

Nel report dedicato a privacy e digital device vengono analizzate tre potenziali minacce insite nelle tecnologie che utilizziamo quotidianamente:

  • L’abuso degli strumenti di hacking intrusivi, i cosiddetti “spyware”
  • Il ruolo della crittografia nella protezione dei diritti umani
  • L’impatto del monitoraggio digitale degli spazi pubblici, sia online che offline

Per quanto riguarda il primo punto, si fa riferimento all’uso da parte di alcuni governi di software dannosi in grado di insediarsi in dispositivi di vario genere al fine di carpire informazioni sugli utenti, come le loro abitudini di navigazione o gli spostamenti effettuati.

Il tutto, in aggiunta, senza instaurare il benché minimo sospetto in chi li sta utilizzando.

In relazione a ciò, il documento delle Nazioni Unite sottolinea che tali software, pur essendo stati creati per combattere il terrorismo e altre forme di criminalità, spesso sono adoperati per compiere attività illegittime, che non si esauriscono in mere operazioni di spionaggio.

Gli spyware, infatti, possono essere usati per reprimere opinioni critiche o dissenzienti, soprattutto se provenienti da personalità di rilievo nel campo mediatico, come giornalisti, esponenti politici dell’opposizione e difensori dei diritti umani.

Ciò che propone il rapporto dell’ONU, in relazione a misure urgenti atte ad affrontare la diffusione di questa tipologia di malware, è una moratoria sull’uso e la vendita di strumenti di hacking fino a che non saranno attuate garanzie adeguate a proteggere gli utenti.

In merito al secondo elemento su cui si sofferma l’ONU, ovvero il ruolo dei metodi di crittografia nella protezione dei diritti umani online, il rapporto afferma che negli ultimi anni sono state intraprese diverse azioni in grado di compromettere la sicurezza e la riservatezza delle comunicazioni criptate.

Il ruolo della crittografia deve quindi essere riconosciuto e tutelato dagli Stati e dagli organismi delle Nazioni Unite, i quali dovranno altresì incoraggiare le imprese e le istituzioni ad adoperarsi in tal senso.

Il fine ultimo è quello di creare soluzioni in grado di proteggere la riservatezza delle comunicazioni e delle transizioni digitali.

Veniamo ora all’ultimo punto chiave riportato nel rapporto dell’ONU: l’impatto del monitoraggio digitale degli spazi pubblici.

Il ricorso sempre più frequente alle nuove tecnologie permette un controllo continuo e costante di ciò che le persone dicono online, anche e soprattutto sui social media.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha espresso più volte le sue preoccupazioni in merito alla sorveglianza di massa, soprattutto per quanto concerne le intercettazioni delle comunicazioni.

A tal proposito, il rapporto intima agli Stati di limitare le misure di sorveglianza pubblica a quelle “strettamente necessarie e proporzionate”.

Gli Stati dovrebbero inoltre agire per attuare solidi controlli sulle raccolte e sulle analisi automatizzate di dati su larga scala, nonché sui nuovi sistemi di identità digitalizzati e su ampie banche dati biometriche.

Sorveglianza digitale a scuola: che cosa dice l’Autorità per la privacy?

L’eccessivo o inappropriato uso degli strumenti digitali rappresenta un pericolo anche per gli studenti e le studentesse di ogni ordine e grado.

Negli ultimi anni la transizione digitale, accelerata dalla pandemia, ha portato nelle scuole una ventata di innovazione.

Attenzione però, potrebbe spazzare via la privacy di bambini e adolescenti!

Su questa riflessione si è aperto il dibattito intitolato “Sorvegliati speciali. Garante Privacy e Privacy Network contro i trattamenti invasivi verso gli studenti”.

A tale dibattito, nel corso di “Privacy Week”, l’evento che si è tenuto a Milano dal 30 settembre al 7 ottobre scorso per analizzare lo stato attuale della privacy e immaginare le tendenze del futuro, ha partecipato anche Ginevra Feroni, Vice Presidente del Garante per la privacy. 

La Dott.ssa Feroni ha esposto il parere del collegio del Garante in merito a: social rating, intelligenza artificiale e videosorveglianza.

Il parere del Garante su social rating e AI 

Nelle scuole il soluzionismo tecnologico non sembra essere un fenomeno preoccupante.

Infatti, durante il “Privacy Week” la Vice Presidente ha affermato che l’Autorità Garante per la privacy ha stigmatizzato nelle scuole, e in ogni altro contesto, sistemi di monitoraggio assiduo, che invece hanno trovato accoglimento in altri Paesi.

La ragione è che tali sistemi rischiano di creare modelli di società costituiti da cittadini infantili.

Al contrario, ha dichiarato la Dott.ssa Feroni: “Come Autorità vogliamo fornire un modello di società fondato sulla responsabilità e sul buon senso”.

In merito al fenomeno del social scoring, qualche scuola ha sperimentato i meccanismi premiali del punteggio di merito.

Ma il Garante lo ha dichiarato inequivocabilmente: il social scoring, soprattutto se applicato a studenti, è inaccettabile.

Lo è nel senso che la valutazione dei cittadini in base ai buoni comportamenti è vista, almeno in parte, come una forma di manipolazione delle coscienze.

L’Autorità, come non ha mancato di sottolineare la Vice Presidente, è intervenuta anche sull’utilizzo di piattaforme reputazionali basate sull’AI, le quali avevano ricadute su aspetti strettamente intimi e privati degli individui.

Nel caso di bambini e ragazzi la preoccupazione è poi ancora maggiore.

Pensiamo alle ricadute emotive se, ad esempio, a uno di loro venisse detto che, anche se sogna di diventare attore, gli algoritmi predittivi mettono in evidenza le sue peculiarità da uomo di scienza.

L’AI è una tecnologia di grandissima efficacia, ma deve basarsi su dati esatti, scrupolosamente verificati e aggiornati, oltre che di qualità.

E per quanto riguarda le videocamere?

In merito all’uso di videocamere nelle scuole, il Garante, attraverso l’intervento della Vice Presidente Ginevra Feroni, non ne nega l’utilità in determinate circostanze.

Lo sono, ad esempio, i casi sospetti di cyberbullismo, che è necessario individuare con un apposito monitoraggio.

Le videocamere negli istituti scolastici devono insomma essere delle eccezioni, e non possono certamente essere una regola di controllo.

Devono altresì essere limitate nel tempo e nello spazio.

Queste, in sostanza le posizioni del Garante sul tema del rapporto tra tutela della privacy e transizione digitale.

Il dibattito si è chiuso con una dichiarazione fiduciosa e confortante della Vice Presidente. 

Per quanto riguarda i dati sui livelli di compliance (e cioè di conformità) delle scuole al GDPR, Ginevra Ferroni ha affermato: “Siamo felici di comunicare che nel 2021 le notifiche di data breach che abbiamo ricevuto dalle scuole sono state oltre circa 300. Nel 2022, invece, sono state 45. Ciò testimonia, senza dubbio, quanto il digitale sia diventato parte integrante dell’organizzazione della maggior parte dei sistemi scolastici.

Si può dire dunque che anche in moltissime scuole la strada della transizione al digitale è tracciata, e anche piuttosto marcatamente.

Bisogna solo continuare a percorrerla con consapevolezza e responsabilità.