Sempre più spesso si sente parlare di “revenge porn”, termine inglese con il quale si indica la condivisione pubblica via web di immagini o video intimi senza il consenso degli interessati.

Tale espressione, tuttavia, può assumere un significato fuorviante e improprio: nonostante infatti la definizione faccia riferimento a una forma di vendetta, la diffusione di contenuti a carattere sessualmente esplicito può avvenire di fatto per motivi diversi.

Oltre a ciò, il termine “vendetta”, tende a focalizzare l’attenzione su un comportamento potenzialmente sbagliato da parte della vittima, finendo per colpevolizzarla in maniera del tutto ingiustificata: una vittima, a prescindere da quale sia la forma di violenza subita, è e rimane tale, senza alcuna responsabilità.

Il “revenge porn” può essere definito al pari di una forma di violenza, e in quanto tale rappresenta un reato.

I contenuti diffusi online possono essere prodotti nell’ambito di una relazione intima, realizzati senza alcun consenso da parte dei soggetti protagonisti, o sottratti mediante pratiche di “hacking” messe in atto sugli account della vittima.

In ognuno di questi casi chi subisce gli effetti del “revenge porn” non ha prestato la propria autorizzazione alla diffusione dei materiali, e il più delle volte non è nemmeno a conoscenza dell’intenzione di divulgarli.

Veicolo del reato è il web, e in particolare le piattaforme social e di messaggistica istantanea, che consentono una diffusione dei contenuti rapida, incontrollata, e difficile da arginare.

La collaborazione tra Facebook e il Garante contro il fenomeno del “revenge porn”

A partire dallo scorso 8 marzo, in occasione della festa della donna, il progetto pilota di Facebook NCII ha ottenuto il sostegno del Garante per la protezione dei dati personali, al fine di contenere il fenomeno della pornografia non consensuale.

Questa collaborazione ha dato vita a un canale di segnalazione dedicato sul sito del Garante, messo a disposizione di tutti coloro che temono che le proprie immagini o video in atteggiamenti intimi possano essere diffuse senza il proprio consenso sul famoso social network.

Nel 2020 Facebook aveva già iniziato a operare contro il “revenge porn”, collaborando con l’associazione no profit PermessoNegato, che si occupa di raccogliere le segnalazioni dei contenuti offrendo alle vittime un supporto, e che compare tra le realtà che sostengono Wired Safe Web, progetto nato per sensibilizzare l’opinione pubblica su come difendersi dalla violenza in rete.

Obiettivo del programma pilota di Facebook è quello di fornire a quelle che possono essere le potenziali vittime tutti gli strumenti per impedire che immagini e video intimi circolino liberamente sulla piattaforma, diventando di conseguenza virali.

Come inviare una segnalazione al Garante se vittime di “revenge porn”

Secondo quanto stabilito dal Garante, i soggetti maggiorenni, qualora pensino di essere vittime della diffusione non consensuale di materiale intimo, hanno la possibilità di inviare la propria segnalazione in maniera sicura e confidenziale accedendo alla pagina dedicata e caricando le immagini che si teme siano state divulgate in maniera illecita.

Le stesse, una volta accolta la segnalazione, verranno cifrate da Facebook tramite un codice “hash”, in modo da diventare irriconoscibili prima di essere distrutte e, attraverso una tecnologia di comparazione, bloccate da possibili tentativi di pubblicazione anche su Instagram.

Tale possibilità è tuttavia rivolta a chi ha il sospetto che le proprie immagini possano essere pubblicate: chi invece ne ha la certezza, avendo individuato foto o filmati in prima persona, può inviare una segnalazione direttamente a Facebook o Instagram attraverso lo strumento ”Segnala”.

Prima di procedere alla rimozione del materiale, Facebook creerà una firma digitale che permetterà ai suoi algoritmi di individuare nuovamente il contenuto in caso fosse ricaricato, così da bloccarlo tempestivamente e in maniera preventiva.

Come difendersi dal “revenge porn”: vademecum del Garante

Il “revenge porn” è una pratica che può dare luogo a effetti drammatici a livello psicologico, sociale e anche materiale sulla vita dei soggetti che ne sono vittime.

Appare dunque importante difendersi, prevenendo il fenomeno tramite una corretta gestione dei dati personali e, in misura maggiore, di immagini e video di carattere intimo.

Qualora sui propri dispositivi – quali smartphone, PC e tablet – siano presenti foto e filmati personali legati a scene di nudo, oppure pose o atti esplicitamente sessuali, è opportuno utilizzare adeguate misure di sicurezza quali password che proteggano gli stessi, o cartelle criptate ove conservare il materiale avvalendosi di sistemi antintrusione e antivirus.

Nel caso in cui la potenziale vittima scelga consapevolmente di diffondere le proprie immagini – ad esempio tramite messaggi o social network – è fondamentale sapere che anche se il proprio profilo è privato, gli stessi contenuti potrebbero essere condivisi, finendo per perderne il controllo.

I rapporti interpersonali possono cambiare, così come i comportamenti di ognuno… perciò, come si dice in questi casi, “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”.

Qualora la vittima abbia già diffuso foto esplicite che la riguardano, o abbia scoperto che le stesse siano state prodotte a sua insaputa, è possibile richiedere la cancellazione immediata a chi detiene il materiale, in modo da contenere ogni possibilità di ulteriore diffusione.

Chiedere la cancellazione dei dati personali è un diritto fondamentale garantito dalla normativa europea: la pubblicazione senza consenso degli stessi rappresenta una violazione punibile con sanzioni pecuniarie e in alcuni casi con provvedimenti penali.

Tuttavia la prima forma di tutela e difesa personale resta la prudenza: una volta diffusi nel circuito, i dati personali possono sfuggire a qualsiasi controllo, rendendone impossibile la cancellazione anche da parte delle autorità preposte o di sistemi tecnologici avanzati.