Le innovazioni tecnologiche influiscono sul godimento dei diritti umani ogni giorno della nostra vita.

È certamente vero che la tecnologia favorisce la raccolta di nuovi e diversi tipi di informazioni utili a semplificare azioni e processi che svolgiamo quotidianamente.

Tuttavia, va considerato anche il fatto che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno producendo forme di controllo sempre più capillari ed invasive della sfera privata di ognuno di noi, mettendo in discussione consolidati diritti e libertà fondamentali.

Basti pensare alla diffusione della videosorveglianza o all’estensione del controllo del traffico su internet.

Il difficile bilanciamento tra innovazione e tutela dei diritti

In quest’ottica, diventa sempre più necessaria una riflessione sul rapporto tra la tecnologia della libertà e quella del controllo.

In particolare, citiamo in questo articolo un intervento di Ginevra Cerrina Feroni – vicepresidente del Garante della privacy – dal titolo “PNRR, digitale: gli impatti su diritti e ordinamento costituzionale”, pubblicato da Agenda Digitale.

Una riflessione della quale in questa sede approfondiremo quattro aspetti:

  • Le conseguenze del progresso tecnologico sul piano dei diritti
  • Il binomio diritto all’istruzione/mondo digitale
  • La necessità di una cittadinanza digitale
  • L’importanza della privacy nell’affermazione di una società sempre più orientata all’innovazione

L’impatto della tecnologia sui diritti

Riportando le parole della vicepresidente del Garante della privacy: È vero che il progresso tecnologico in generale e l’evoluzione delle tecnologie digitali, delle biotecnologie e dei sistemi di comunicazione elettronica negli ultimi vent’anni hanno creato enormi opportunità a livello globale per consolidare società prospere sotto il profilo economico, più inclusive e giuste; ma al contempo, senza un nuovo contratto sociale e un quadro normativo adattato alle nuove tecnologie dall’effetto dirompente, sono emerse numerose gravi minacce per l’umanesimo, prima che per l’umanità (violazioni della vita privata, distorsioni algoritmiche dovute a dati di cattiva qualità, volatilità dei mercati, perdita del lavoro a causa dei progressi nell’automazione e della sua diffusione, etc.).

Queste minacce vanno tenute in grande considerazione, soprattutto alla luce dei continui tentativi da parte dei colossi tecnologici globali di imporre i propri prodotti e servizi, aggirando le legislazioni nazionali e internazionali che garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali.

Il problema, fa notare la vicepresidente del Garante, è che le istituzioni sono diventate vulnerabili nei confronti di attori non statali che hanno accesso diretto a conoscenza, brevetti, tecnologie e fondi di investimento.

Di conseguenza, gli aspetti relativi alla sovranità tecnologica oggi sono una questione di vita o di morte per i poteri pubblici.

L’equivalenza dei diritti

Quale potrebbe essere allora una soluzione per la “sopravvivenza” dei diritti fondamentali delle persone, e dei minori in particolare?

Secondo la vicepresidente del Garante, nel contesto di una continua trasformazione digitale che sta interessando la nostra società da ormai molti anni, dal punto di vista legislativo non è necessaria una nuova generazione di diritti.

Piuttosto, essi andrebbero riletti in relazione a temi quali l’accessibilità alle piattaforme online o l’interazione negli spazi indefiniti del web.

Rileggere, in questo caso, significa non solo adattare, ma anche rafforzare.

Pensiamo ad esempio a tutte le libertà classiche che restano valide, sebbene con un nuovo significato che espande quello originario.

Il domicilio equivale alla “casa datizzata” in cui viviamo nello spazio informatico, e a cui si accede attraverso il PC e tutti i device.

Proprio come in un’abitazione fisica, nella nostra casa virtuale vorremmo sentirci protetti da intrusioni illegittime.

Oppure pensiamo alla libertà di circolazione, che nello spazio immateriale è la libera circolazione dei dati.

O alle libertà di riunione e di associazione costruite collaborativamente, che nell’era del web 2.0 sono rappresentate da community identitarie.

Il diritto all’istruzione nell’era digitale

Per quanto riguarda i diritti alla cultura ed all’istruzione, questi hanno in internet, almeno potenzialmente, il più grande alleato in termini di accessibilità e reperibilità della conoscenza.

Tuttavia, al contempo, incontrano in esso anche il più temibile dei nemici, in ragione dell’automatismo e della disponibilità massiva di contro-cultura e di informazioni a volte fuorvianti.

Il problema, fa notare la vicepresidente del Garante, è “l’iniziativa economica, che ha spinto l’intera trasformazione di internet in chiave mercatoria”, e ciò ha generato una sorta dicapitalismo della sorveglianza che si nutre dei dati estratti direttamente dagli utenti.

Prima di dotarli dei più sofisticati sistemi di ricerca di informazioni, bisogna quindi insegnare agli alunni a pensare in maniera critica e a distinguere e analizzare le fonti.

In caso contrario, saranno come marinai che, pur dotati di imbarcazioni ed equipaggiamenti, rischiano di farsi travolgere dalla tempesta.

Il tema della cittadinanza digitale

Solo grazie alla realizzazione di una cittadinanza digitale è possibile pensare a una società in grado di padroneggiare coscientemente gli strumenti informatici e tecnologici a disposizione.

Bisogna quindi che tutti, bambini e adulti, sappiano che cosa significa educazione civica digitale, e che la apprendano come una disciplina al pari delle altre.

Le parole chiave sono: spirito critico e responsabilità.

Spirito critico, perché è fondamentale – per studenti e non solo – essere pienamente consapevoli che dietro a straordinarie potenzialità legate alla tecnologia si celano profonde implicazioni sociali, culturali ed etiche.

Lo spirito critico è la condizione necessaria per governare il cambiamento tecnologico e orientarlo verso obiettivi sostenibili per la società.

Responsabilità, perché i media digitali – nella loro caratteristica di dispositivi non solo di fruizione ma anche di produzione e pubblicazione dei messaggi – richiamano chi li usa a considerare gli effetti di quanto con essi viene fatto.

Dallo spirito critico e dalla responsabilità deriva la capacità di saper massimizzare le potenzialità della tecnologia (ad esempio in termini di educazione, partecipazione, creatività e socialità), e minimizzare gli aspetti negativi (sfruttamento commerciale, violenza, comportamenti illegali, informazione manipolata e discriminatoria).

Si sono già verificate numerose situazioni che riguardano cittadini ingiustamente colpiti e condannati per le decisioni errate degli algoritmi e dell’AI.

A titolo esemplificativo, i responsabili decisionali in seno alle forze di sicurezza e di polizia possono essere fuorviati dai risultati errati del riconoscimento facciale, del machine learning, di analisi predittive e di scoring, con conseguenti effetti immediati sui diritti e le libertà di molti cittadini.

“Per tali ragioni, nel contesto della transizione digitale, tutti i settori che si troveranno ad utilizzare sempre di più i dati personali e biometrici, le identità digitali, le reti di comunicazione mobile 5G, l’intelligenza artificiale e così via, dovranno conformarsi in modo specifico e chiaro al pieno rispetto della sempre valida tradizione dei diritti fondamentali.

Il diritto alla protezione dei dati come chiave di lettura del diritto digitale

Qual è stato e qual è il ruolo del Garante della privacy nell’affermazione del diritto digitale?

Ginevra Cerrina Feroni dà una risposta esaustiva.

La vicepresidente dell’Autorità, nel corso del suo intervento, spiega che negli ultimi anni la necessità di assicurare da una parte un funzionale trattamento dei dati, e dall’altra il rispetto dei diritti delle persone, ha visto il Garante impegnato in un’opera di costante bilanciamento.

L’obiettivo era fare in modo che il diritto alla privacy non venisse inteso come un diritto “subìto”, ma come un elemento-chiave di un sistema di libertà sostanziale.

Inoltre, l’impegno del Garante su questioni legate alla tutela dei diritti fondamentali delle persone nel mondo digitale si inserisce oggi nell’ambito di una transizione tecnologica che la pandemia ha accelerato, e che rappresenta una dimensione centrale delle politiche europee.

L’UE sta attuando una forte spinta riformatrice in quest’ambito, proseguendo un percorso iniziato sei anni fa con il quadro giuridico europeo in materia di protezione dei dati, che ancora svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della regolazione del digitale, in continua evoluzione.

Il GDPR ha infatti rappresentato un vero e proprio paradigma di tutela, a cui la legislazione europea si sta conformando, adottando principi che mirano a garantire livelli di garanzie uniformi.

Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati è dunque un tassello fondamentale di un mosaico che si sta progressivamente arricchendo per far fronte alle sfide che stanno emergendo da uno sviluppo sempre maggiore e veloce delle nuove tecnologie.

Ci si auspica quindi che, in futuro, la scuola e tutte le altre istituzioni lavorino sempre secondo una prospettiva “privacy oriented”, così da promuovere innovazioni che siano realmente inclusive e non discriminatorie.