Lo scorso dicembre, in Spagna, un ragazzo di sedici anni è entrato in contatto tramite Instagram e WhatsApp con una tredicenne.

Ha ricevuto da lei immagini e video a sfondo sessuale, e le ha poi usate per ricattarla, minacciandone la diffusione.

A seguito della segnalazione di uno dei genitori della vittima, che aveva scoperto il contenuto dei messaggi, la vicenda ha ottenuto l’attenzione del Garante della privacy spagnolo, il quale ha avviato un procedimento per violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, del GDPR (trattamento senza consenso dell’interessato).

Il ragazzo si è difeso invocando il divieto di doppia punizione (“ne bis in idem”), avendo nel frattempo già riportato una condanna del tribunale minorile.

L’Autorità ha però rigettato l’eccezione, sostenendo che una cosa è punire per delle minacce, un’altra per il mancato consenso a un trattamento.

Passando all’esame la disciplina privacy, il Garante spagnolo ha sottolineato che sono operazioni di trattamento anche la mera raccolta, conservazione e registrazione di foto e video. 

Così, al termine del procedimento, ha inflitto al ragazzo (qualificato come titolare del trattamento), una sanzione pecuniaria di 5.000 euro, per aver trattato illecitamente le immagini e i filmati dell’interessata.

Questo provvedimento rappresenta solo l’ultimo di una serie di casi che stanno dimostrando la crescita esponenziale di questo fenomeno, particolarmente pericoloso per i più giovani e vulnerabili.

Revenge porn: la situazione in Italia

La pronuncia del Garante spagnolo ha rilevanza anche in Italia, considerato che applica il GDPR, e cioè la stessa normativa vigente nel nostro Paese.

Anche da noi il revenge porn è molto diffuso: da un’indagine recente è emerso che sono circa 2 milioni le vittime di diffusione non consensuale di materiale intimo.

Una parte di questi sono minori.

Perciò il legislatore italiano, nel dicembre 2021, è intervenuto con un Decreto (il n. 139/2021, c.d. “Decreto Capienze”), che ha introdotto nel Codice Privacy l’art.144-bis.

Questo consente al Garante di ricevere segnalazioni da potenziali vittime di pornografia non consensuale, e di intervenire con provvedimenti d’urgenza finalizzati a bloccare la diffusione di immagini o video illeciti.

In questo modo, chiunque può inviare comunicazioni all’Autorità, compresi i minori con più di quattordici anni.

Basta avere motivo di ritenere che registrazioni audio, video, o foto a contenuto sessualmente esplicito che riguardano la propria persona possano essere pubblicate online senza consenso.

Ricevuta la segnalazione, il Garante si attiva tempestivamente per disporre il blocco preventivo nei confronti delle piattaforme indicate dal segnalante (attraverso l’implementazione di specifiche tecnologie, quali ad esempio i “codici hash”).

Grazie a questa importante iniziativa legislativa, l’Autorità è intervenuta con una serie di primi provvedimenti storici, indirizzati direttamente ai gestori di alcune piattaforme online (Facebook, Instagram e Google), per bloccare la diffusione del materiale (video e foto) oggetto di segnalazione da parte di alcune persone che ne temevano la messa online.

Il quadro normativo

Naturalmente, data la rilevanza del fenomeno, una legge sul revenge porn c’era già, ed era già stata introdotta nel 2019, ben due anni prima quindi del Decreto capienze.

Il 9 agosto 2019 è entrata infatti in vigore la legge n. 69, altrimenti detta “Codice Rosso”.

Il testo comprende svariate modifiche a norme preesistenti, e risulta declinato nell’ottica della celerità con cui deve avere inizio ogni indagine per un reato di violenza, soprattutto se commesso nei confronti dei cosiddetti soggetti deboli ossia, in primis, donne e minori.

Una delle principali novità contenute nel “Codice Rosso” è rappresentata dall’introduzione nel codice penale (art. 612-ter) del delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, punendolo con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

Il nuovo articolo 612-ter c.p. comprende cinque tipologie di azione vietata: inviare, consegnare, cedere, pubblicare o diffondere.

Con una scelta assolutamente condivisibile, il legislatore ha preferito usare espressioni di uso comune, che non necessitano di particolari interpretazioni.

Le foto, o i video, a cui si allude possono essere trasmessi in qualsiasi modo: dalla busta affrancata al messaggio email, sino alle pubblicazioni più generiche sui social media o le chat di WhatsApp, Telegram, e così via.

Per rientrare in questa categoria, i contenuti devono risultare “sessualmente espliciti”, e quindi coinvolgere nudità, atti sessuali, erotismo e pornografia.

Il legislatore ha suddiviso il reato in due tipologie diverse, che ha distinto anche graficamente, dedicando a ciascuna un comma dell’articolo.

Il primo punisce chi, dopo aver realizzato o sottratto le immagini, compie una delle cinque azioni sopra elencate.

Il secondo applica la stessa pena a chi fa altrettanto dopo aver ricevuto, o comunque acquisito, le foto o i video.

Che cosa pensano gli adolescenti del revenge porn

Per gli adolescenti, e in particolare per le ragazze, la possibilità che qualcuno diffonda le loro foto intime è uno dei peggiori incubi.

Negli ultimi anni la paura del revenge porn ha superato anche il timore di poter essere avvicinati da malintenzionati.

Per il 52% delle 6 mila persone (tra i 13 e i 23 anni) intervistate per realizzare l’ultimo Osservatorio Indifesa – il progetto che indaga su violenza, stereotipi di genere, bullismo e cyberbullismo ai danni di ragazzi e ragazze – il revenge porn è il pericolo maggiore.

Il 51% ritiene anche le molestie online una minaccia insidiosa.

Tra gli adolescenti che hanno partecipato a questo studio, una persona su tre ha dichiarato di aver visto circolare foto intime sue o dei propri amici e amiche sui social network.

La ricerca conferma che la diffusione di materiali intimi personali può avere gravi conseguenze sulla sfera psicologica e affettiva della persona che subisce la violenza.

Quasi tutte le ragazze (più del 95%) intervistate per la ricerca dell’Osservatorio hanno sostenuto che vedere le proprie foto o video hot diffusi senza il loro consenso è grave quanto subire una violenza fisica.

Tra i ragazzi adolescenti, la percentuale che ritiene così grave questo tipo di pratica è stata quasi del 90%.

I consigli per gli insegnanti

Poiché spesso del revenge porn risultano vittime (ed altrettanto autori) i giovani dai 13 ai 19 anni di età, è doveroso che la scuola si prenda carico di informare i ragazzi sulle caratteristiche del fenomeno.

Il presupposto da cui partire è che la diffusione non consensuale di materiale pornografico, detta NCP, è un vero e proprio reato di cui spesso si sottovalutano gli effetti, sia tra gli adolescenti che tra gli adulti.

Quindi, è bene che tutti gli istituti adottino misure preventive sul tema del revenge porn.

Il primo consiglio è quello di suggerire a ragazzi e ragazze di chiarire (meglio se per iscritto) alla persona destinataria di un contenuto intimo e personale, che non può inoltrarlo ad altri.

Il secondo è agire in prevenzione, e astenersi perciò dall’inoltrare a terzi materiale intimo e privato.

Il terzo è quello di tentare la rimozione del contenuto.

Se la foto o il video in questione sono già stati pubblicati, si può usare il tasto “Segnala” per richiederne l’eliminazione alla piattaforma social, la quale dovrà attivarsi entro 48 ore.

Se non lo fa, è possibile scaricare dal sito del Garante l’apposito modulo per richiederne il supporto e, in ogni caso, rivolgersi all’autorità giudiziaria.

Oltre ad intervenire direttamente, il Garante ha poi pubblicato un vademecum con una serie di suggerimenti pratici per difendersi dal revenge porn e dalla pornografia non consensuale.

Diffondere una corretta informazione sull’argomento è un dovere morale e professionale che, se ignorato, rischia di mettere in pericolo un’intera generazione.