Sono giovanissimi e già possono essere considerati delle vere e proprie “star” del web.

Stiamo parlando di bambini spesso protagonisti sulle principali piattaforme social, ma al contempo esposti a diversi rischi, quali ad esempio il cyberbullismo, l’adescamento online e le violazioni della privacy.

Il fenomeno dei “baby influencer” è piuttosto diffuso, in particolare su Instagram e TikTok, e sta raggiungendo dimensioni preoccupanti..

Per quanto possa essere rischiosa tale tendenza, gli stessi genitori, rendendosi conto di quanto gli utenti apprezzino temi riguardanti i propri figli, si sono a volte trasformati in veri e propri manager impegnati a pubblicare video, reel e IGTV che generano milioni di visualizzazioni.

Questo avviene poiché, proprio con la massiva diffusione dei social network e il relativo successo, sempre più investimenti pubblicitari coinvolgono le piattaforme digitali.

E se prima eravamo abituati agli “influencer”, ora abbiamo a che fare con dei “baby influencer” e con i rischi connessi alla popolarità dei minori sul web.

Social e bambini: il trend dei “baby influencer”

Su Instagram e TikTok sono ormai delle vere e proprie “celebrities”, emulate dai coetanei e corteggiate dai brand.

Sono i cosiddetti “baby influencer”, bambini e ragazzi seguiti sui relativi profili social da milioni di “followers” che visualizzano, commentano e condividono ogni post, video e fotografia, seguendo con assiduità ogni pubblicazione.

Ci sono poi i genitori che postano ripetutamente foto dei propri figli, esibendone a 360° la vita e la quotidianità, col solo obiettivo di conquistare una manciata di like e cuoricini, come impongono le “vanity metric”.

Minori e social network sono un binomio vincente, ma a questo punto sorgono spontanee due domande.

Come viene tutelata la privacy di bambini e ragazzi? E come viene regolamentata quella che per i “baby influencer” diventa una vera e propria attività lavorativa?

Le normative e le leggi di riferimento sono ad oggi assenti, insufficienti, o tendono a fare acqua da tutte le parti.

In pochi focalizzano l’attenzione sul contesto legato alla privacy e sui fattori di rischio connessi a questo tipo di attività.

Età minima per l’iscrizione ai social network

Il codice della Privacy italiano prevede che l’età minima per iscriversi a un social network sia di 14 anni.

Chi non li ha ancora compiuti può farlo, ma solo previo consenso da parte dei genitori.

Il Regolamento Europeo (GDPR) prevede una soglia minima di 16 anni.

Vi è tuttavia la possibilità per gli Stati membri di stabilire per legge un’età diversa, purché non inferiore a 13 anni.

L’articolo 8 del GDPR prevede che le piattaforme si adoperino “in ogni modo ragionevole” per verificare che i genitori abbiano prestato il proprio consenso nei casi di iscrizione di bambini di età inferiore ai 13 anni, utilizzando tutte le “tecnologie disponibili”.

Il problema è che di solito non viene eseguito alcun controllo, e il risultato è che sul web sono presenti con un proprio profilo social tantissimi bambini e ragazzi che non potrebbero in realtà avere accesso a queste piattaforme.

Quando avviene la violazione del diritto alla privacy?

In mancanza di una legge che regolamenti l’accesso ai social network da parte dei minori, a fare da riferimento è la giurisprudenza, che purtroppo non può che evidenziare quelle che sono le lacune normative.

Una scarsa e approssimativa informazione, così come la naturale propensione a considerare i “baby influencer” come bambini fortunati e da emulare, e l’accettazione sociale della presenza dei minori sul web, celano quelli che possono essere i reali pericoli dei social per i ragazzi.

Compaiono pertanto in maniera quasi sistematica situazioni particolarmente diffuse quanto condannabili, quali banalmente quelle in cui papà e mamme postano foto dei figli senza l’assenso di questi ultimi.

A testimoniarlo, i sempre maggiori ricorsi ai giudici di ragazzi che lamentano l’esposizione della loro vita sui social da parte dei genitori.

La Francia pioniera di una nuova legge per la protezione dei minori sui social

Tanto ha fatto discutere la legge sui “baby influencer” di recente approvata in Francia.

La normativa parla espressamente di giovani e social media, regolamentando le attività lavorative dei minori, e obbligando i genitori ad aprire un conto corrente intestato ai ragazzi (e non utilizzabile fino al sedicesimo anno di età), e le imprese a versare su tale conto i ricavi.

I brand devono inoltre ricevere specifiche autorizzazioni prima di siglare contratti coi minori, i quali – sempre secondo la legge – vedono riconosciuto il diritto all’oblio.

In Italia, per contro, esiste solo una proposta di legge ferma al gennaio 2020 sullo sfruttamento dell’immagine dei minori, riferita alla regolamentazione dei concorsi di bellezza.

In uno scenario di questo genere, l’unica speranza è che gli organi competenti intervengano su argomentazioni così attuali, non solo facendo chiarezza, ma fornendo disposizioni ben precise a tutela di una categoria di soggetti tanto delicata quanto esposta come quella dei minori.